il Legame con Sezze
Nati in Sicilia come naturale espansione del Conservatorio della Sacra Famiglia, che il Cardinale Pietro Marcellino Corradini fonda a Sezze (LT) nel 1717, i Conservatori siciliani, più noti col nome di “Collegi di Maria”, con il trascorrere degli anni, nonostante la distanza geografica, consolidarono una sempre maggiore coscienza di trovare nella casa di Sezze il punto di riferimento qualificante per la loro attività apostolica e nello stesso Corradini lo snodo immediato di confronto per approfondire il carisma proprio della Congregazione.
Il primo Collegio-Conservatorio fondato con l’approvazione del “santo” Cardinale e governato dalle sue Costituzioni sorse a Palermo nel 1721, nel quartiere dell’Olivella, grazie all’interessamento di alcuni sacerdoti della città che riunirono allo scopo un gruppo di donne guidate da donna Maria Franca Palermo.
Numerose altre comunità vennero fondate dopo questo primo Collegio, definito dalla cronaca delle religiose «vera colonia del Monasterio di Sezze», grazie all’opera e al sostegno di prelati, vescovi e nobili siciliani; per queste comunità il legame con la primigenia fondazione corradiniana venne assicurata
- dal riferimento unico alla spiritualità della Sacra Famiglia;
- dal rapporto sempre vivo ed inequivocabile con il fondatore Corradini;
- dalla professione delle costituzioni corradiniane del 1729, adattate nella misura ritenuta opportuna dai vescovi per le situazioni concrete delle loro diocesi.
Consolidamento…
Pur conservando la loro autonomia, tratto comune a tutte le fondazioni settecentesche, le comunità corradiniane siciliane, i “Collegi di Maria”, consolidarono la loro struttura giuridica in un fecondo ed equilibrato rapporto con il Monastero della Sacra Famiglia di Sezze.
Si vennero così delineando gli elementi fondamentali della loro vita interna. Una sorta di “basamento comune” che fece di loro una “gloriosa istituzione”, un veicolo privilegiato di educazione e di istruzione per le classi femminili, più esposte all’ignoranza e allo sfruttamento. Quali furono questi elementi?
Il governo
Il governo, nella configurazione giuridica dei Collegi di Maria, era demandato alla Superiora, legittimamente eletta, e ad essa spettava il compito di animare la comunità. Ma sul modello del Monastero di Sezze, una figura tipica delle comunità religiose collegine era quella del “deputato”: si trattava generalmente di un sacerdote che per incarico del Vescovo diocesano si occupava del governo temporale ed economico della casa. Una specie di “protettore” incaricato dell’amministrazione dei beni, che svolgeva anche funzioni di rappresentanza del Vescovo nell’elezione della Superiora e delle Officiali della comunità. Le sue caratteristiche inderogabili dovevano essere esperienza, integrità e soprattutto libertà e distacco: il Signor Deputato non doveva mai ingerirsi nel governo spirituale del Collegio!
L'abito
Da una lettera che il Corradini scrisse nel 1741 a suor Maria Margherita Giliotti, Superiora delle Convittrici della Sacra Fami-glia di Sezze, sappiamo del desiderio, manifestato dalle Convit-trici dei Monasteri eretti in Sicilia, di uniformarsi alla primigenia fondazione corradiniana anche nella forma e nel colore dell’abito. Sappiamo anche della sollecitudine con cui il Cardinale fondatore inviò in Sicilia, «ben aggiustato dentro una scatola», una “mostra” dell’abito in uso a Sezze: di semplice saia color turchino, esso era provvisto di una cintura dello stesso colore, di un crocifisso da portare dalla parte del cuore, di una cuffietta di color nero e di un mantello bianco ed ampio che si stendeva fino a terra.
Nella trasmigrazione in Sicilia, l’abito corradiniano subì alcune modifiche: prima fra tutte quella del colore che era noto-riamente nero in tutte le fondazioni siciliane. Al contrario si mantenne la consuetudine di utilizzare due diversi veli (nero e bianco) per distinguere le classi delle Convittrici: le «Professe di velo nero maestre di scola» e le «Sorelle Converse professe di velo bianco».

Ritratto fotografico di Madre Maria Giustina Tufo, ultima Superiora del Monastero della Sacra Famiglia di Sezze.
In esso è ben visibile l’abito indossato dalle Convittrici della primigenia fondazione fino al XIX secolo.
Una particolarità: in ogni comunità le Convittrici non dovevano essere più di 33 e le Converse non più di 7. Questa norma si giustificava con una scelta di equilibrio di forze volta a non oberare di lavoro le Converse e a non provocare rilassamento nelle Convittrici. Inoltre, la distinzione tra le due classi si giustificava in riferimento alla prassi ministeriale della Chiesa apostolica: come i diaconi servono al mistero eucaristico, così le Sorelle Converse sono “ministre” che si addossano la cura temporale delle Maestre e delle Educande collegiali.
La dote delle religiose
Se per le donne da marito, la dote costituiva un dovere disciplinato da consuetudini e regole ben precise, lo stesso avveniva per le Convittrici della Sacra Famiglia nei Collegi siciliani. D’ordinario era di 350 scudi da pagare al Deputato del Collegio; veniva restituita in caso di uscita prima della professione, ma restava di proprietà della comunità alla morte della religiosa, incrementando così la base economica con cui la medesima comunità assicurava la sua sopravvivenza.
La nota dell’«Acconcio che ci vuole per velare una Convittrice» è un elenco dettagliato di beni destinati alla comunità (piatti, vasellame, candelabri, quadri e tele, tovagliato per il refettorio, mobilio di varia natura, posate in argento, etc.) e di beni di uso personale. Il corredo consisteva degli arredi necessari per la stanza da letto: un paio di “trispiti di ferro”, un “rifriscatore di rame”, due materassi, tre tavole, cortinaggio di seta, due coperte, quattro paia di lenzuola, scaldino e scaldaletto, “tavolinuccio” ed inginocchiatoio, due sedie impagliate.
Naturalmente questa lista comprendeva anche tutto ciò che serviva al vestiario per la professione: 18 camicie di tela, saia per le tuniche, 16 “coppole” per il giorno e per la notte, 18 fazzoletti, 18 zinali, 18 soggoletti, 18 calzette, 18 asciugatoi, 18 salviette, scarpe e pianelle, cera per l’altare, una ghirlanda di fiori finti, un baule ed una cassa dove conservare tutta la biancheria fin qui notata.
Non dovevano mancare, inoltre, gli oggetti di devozione: la corona del santo Rosario, il Crocifisso per il capezzale, l’Ufficio della Madonna, della Settimana santa e del Natale ed infine un’immagine in cera di Gesù Bambino.
La clausura
È questo uno dei punti di maggiore scollamento tra il Monastero della Sacra Famiglia di Sezze e i Conservatori siciliani, quello che provocò anche una certa frizione tra il fondatore Corradini e qualche fondatore locale. Su questo punto, infatti, egli era stato inflessibile: desiderava che le comunità siciliane non mutassero in nulla le disposizioni riguardo alla clausura che egli aveva dato al Conservatorio di Sezze. E sosteneva questa sua volontà con opportuni ragionamenti: fare diversamente avrebbe significato mettere in pericolo «la purità dell’Instituto», esporre le Convittrici al rischio di un esaurimento psico-fisico e trasformare le comunità religiose in «tanti Ospedali, inabilitando le Convittrici à poter reggere a tante fatighe, e continui esercizij» (Lettera a don Emanuele Cangiamila, 15 aprile 1741).
Si trattava però di una novità troppo rivoluzionaria per quei tempi: essa rischiava di generare diffidenza e chiusure nei confronti del progetto corradiniano, che intendeva solo favorire l’apostolato attivo. C’era infatti in Sicilia il timore che una prassi più liberale potesse favorire abusi e, soprattutto, indurre le famiglie, preoccupate del loro buon nome, a scoraggiare le vocazioni delle loro figliole in monasteri, quali erano appunto i Collegi di Maria, in cui fossero previsti frequenti rapporti delle Suore con parenti d’ambo i sessi e addirittura periodiche passeggiate in campagna con la partecipazione del direttore ecclesiastico. Si giunse, pertanto, ad irrigidire le determinazioni del fondatore Corradini: fu negato l’ingresso a chiunque nei Conservatori siciliani e fu deciso che per concedere il permesso di entrata occorresse chiedere di volta in volta l’autorizzazione al Vescovo. I permessi erano annotati sul Libro delle Licenze.
Ritratti di Convettrici Siciane
Collegio di Maria al Borgo Palermo


